1 set 2015

L'importanza di essere il cattivo

Dalla strega perfida, all'orco spietato, dal viscido impostore, al malvagio signore oscuro, onnipresente nelle favole della nostra infanzia, più o meno palese in film e romanzi, il cattivo è una figura oltremodo fondamentale che, specie in questi ultimi tempi, viene sempre più esplorata e talvolta mutata, rivoluzionata e trasposta. 
Spesso si odia e talvolta si ama ma in ogni caso è fondamentale in ogni storia, forse anche più del protagonista, tanto che se non ci fosse potrebbe non esserci nessuna storia. 
Essere cattivo, perciò, non è affatto una responsabilità da poco.



 Non per niente, ma se Sauron non avesse forgiato l'anello del potere e se non avesse deciso di far cadere la Terra di Mezzo nell'oscurità credete che i popoli dell'ovest si sarebbero mai alleati tra loro? E pensate che qualcuno fuori dalla Contea saprebbe che cos'è un hobbit? 
Per millenni Sauron ha tormentato i regni della Terra di Mezzo con la sua bramosia di potere, con l'efferatezza dei suoi eserciti e corrompendo anche i cuori più nobili, ma inconsapevolmente è stato anche motore degli eventi perché è riuscito a dare un obiettivo comune a popoli che altrimenti si sarebbero fatti la guerra tra loro.


Mettiamo caso invece che Voldemort non avesse voluto scomodarsi tanto per un neonato: Harry Potter non sarebbe mai stato "il ragazzo che è sopravvissuto" e forse Colui-che-non-deve-essere-nominato avrebbe vinto la guerra già ai tempi del primo Ordine della Fenice. Non per niente se non ci fosse stato Voldemort non ci sarebbe stato l'Harry Potter che conosciamo tutti!


Questi sono gli esempi più classici e standardizzati nel nostro immaginario contemporaneo mirati a dimostrare l'indiscussa importanza di una nemesi per i nostri eroi, un elemento negativo che metta in risalto quello positivo e che renda sempre verde la dicotomia Bene-Male (argomento che tra l'altro io tiro in ballo nei discorsi almeno ogni due per tre).

Parlando di immaginario collettivo, spesso ci si ritrova a pensare al "cattivo" come un elemento spaventoso, con un pessimo carattere e neanche tanto bello d'aspetto che fa di tutto per rendere la vita impossibile ai nostri eroi sterminandogli la famiglia, sgozzandogli eventuali consorti o amici, storpiandogli il cane, distruggendogli la casa o dandogli fuoco al giardino, con tanto di biglietto da visita scritto col sangue del loro gatto in caso non avessero capito bene che sono stati proprio loro a fargli intenzionalmente del male. 
Sotto quest'ottica individuare il nemico è uno scherzo, le cose si complicano quando l'antagonista in questione gode di un carisma fuori dal comune, che mette in discussione sia le priorità degli altri personaggi che del lettore/spettatore stesso.


Di certo è facile stare alla larga da un mostro orribile, che ammazza tutti quelli che lo guardano storto e arreda casa con i cadaveri dei suoi nemici, il tutto corredato dall'inconfondibile "risata diabolica". Un po' più difficile è rendersene conto quando ti trovi di fronte un campione di gentilezza, affabile e bello come il sole (che sia uomo o donna è irrilevante).
Qui si va ad esplorare un mondo vastissimo che riguarda la concezione di buono e cattivo, perché l'incarnazione del male non è detto che abbia le zanne e le corna, piuttosto potrebbe assomigliare all'amore della propria vita.


Il fascino del male ci tenta tutti, chiamiamole "femme fatale", chiamiamoli "belli e dannati", in ogni caso ci ritroviamo ad amarli e non sappiamo nemmeno il perché (anche se l'avvenenza in questo caso gioca un ruolo non da poco).
Da questo tipo di attrazione nasce la figura dell'antieroe che, secondo regola, non dovrebbe essere classificato come buono ma la narrazione lo pone come protagonista degli eventi, tanto da confondere i princìpi di immedesimazione del fruitore della storia. Tuttavia c'è da dire che l'antieroe riesce a godere di tanti consensi da parte del pubblico proprio per la sua natura né buona né cattiva, il che rende tutto più realistico, anche se la storia è ambientata in una galassia lontana su nuvole di zucchero filato.


Questa "esplorazione del lato oscuro" però è un qualcosa che tendiamo a dimenticare, un po' per mode, un po' per "media". L'ibridazione dei personaggi è sempre esistita. Un esempio che adoro ricordare è quello del capitano James Hook (Giacomo Uncino per i profani), il quale è sì, uno spietato pirata pluriomicida ma è diventato nemico giurato del sempre giovane Peter Pan perché il ragazzo gli mozzò la mano e la fece mangiare da un coccodrillo per puro diletto; non molto gentile il ragazzo. Senza contare che anche Peter (personaggio che è stato scremato e cambiato negli anni da varie trasposizioni) ha ucciso centinaia di persone e molte volte anche i suoi stessi compagni. A parte l'età e la capacità di ridere e di volare le differenze tra i due personaggi sono praticamente nulle. Quindi chi sarebbe il vero cattivo?


Ogni tanto è interessante leggere alcune storie tenendo in considerazione il punto di vista del villain perché ci si possa rendere conto che spesso l'unica sua caratteristica negativa è quella di stare dalla parte sbagliata.
Badate però che non voglio assolutamente dire che tutti i cattivi siano buoni, lungi da me il voler affermare una tale eresia, volevo solamente mettere in chiaro la differenza, sottile ma sostanziale, tra il cattivo e l'antagonista. L'antagonista è proprio come il protagonista, con pregi e difetti, ma si trova semplicemente "sul lato opposto della scacchiera"; mentre il cattivo è veramente una carogna  in tutto e per tutto ma non è detto che lo sembri fin dall'inizio, perché può anche avere il viso di un angelo ma essere l'impersonificazione del male, può abbracciarti e baciarti, ma mentre ti pianta un coltello nella schiena.
Senza dire che, per quanto sbagliate possano essere, anche lui avrà le sue buone ragioni per fare quello che fa, chi siamo noi per giudicare da poveri spettatori inermi?


A prescindere dall'aspetto più o meno fuorviante la caratteristica principale di essere il cattivo è per l'appunto essere cattivo e dato che ricopre il ruolo di antagonista, il protagonista non può fare a meno di essere tutto ciò che non è la sua nemesi. Avere un malvagio contro cui combattere serve a personificare i propri demoni, a mettersi in discussione e migliorarsi, se un eroe non avesse a che fare con un losco figuro non sarebbe poi così tanto eroico. 

A me personalmente i cattivi piacciono, non perché faccio il tifo per loro, ma perché sono loro più di chiunque altro a creare degli eroi.

18 ago 2015

Cronache del Ghiaccio e del Fuoco: cosa ci ha fatto innamorare?

Complotti, guerre, passioni, tradimenti, sangue, morte, misteri, magia: tutto questo è solo una parte del complesso e appassionante mondo di "A Song of Ice and Fire" la saga fantasy di George R.R. Martin, conosciuta in Italia come "Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", diventata best seller di successo e che negli ultimi anni ha raggiunto l'apice della celebrità con la serie televisiva "Game of Thornes".
Ma cosa è riuscito a fare presa sul pubblico tanto da far diventare questa "canzone di ghiaccio e fuoco" un fenomeno a livello globale? 


Strano ma vero, se si va a scavare all'osso la trama non è poi così complessa: vari nobili si contendono il potere ed ogni protagonista rimane più o meno direttamente coinvolto in questo gioco di potere, ma tutti sono ignari di una grande e misteriosa minaccia che rischia di spazzare via tutto e tutti rendendo vana questa spietata lotta per il potere. Più complessa è la modalità di svolgimento degli eventi, palesemente ispirata alla storia e alla mitologia europea. Tuttavia quello che colpisce fin dai primi capitoli è la completa e totale messa in primo piano dei personaggi, cosa intuibile nella gestione dei capitoli e del punto di vista (i così detti POV, point of view). Di fatti la prima cosa che nota il lettore è la particolare suddivisione dei capitoli che non presentano alcuna numerazione o titolo ma solamente l'indicazione del personaggio al quale appartiene il punto di vista corrente. Una scelta intelligente che fa spostare l'attenzione completamente sul personaggio, sui suoi pensieri, sulla sua psicologia e rende immediata l'immedesimazione del lettore, oltre a rendere la narrazione chiara e ordinata, dato che i punti di vista sono decisamente numerosi e vanno ad aumentare ad ogni nuovo libro. 



Altra mossa azzeccata è la minuziosa cura dei dettagli, percepibile nelle articolate descrizioni e la quasi maniacale attenzione alla geografia del luogo specificando usanze della popolazione, cibo e vestiario caratterizzati per ogni regione di Westeros ed Essos. Altrettanta attenzione è dedicata alla storia dei sette regni che nel corso della narrazione viene ben dosata e esposta tramite i personaggi come un coerente dato di fatto, il tutto condito con ballate e canzoni relative ad epiche imprese passate. Questi sono tutti ingredienti in grado di instillare una sempre più solida credibilità alle vicende.



Parlando di credibilità, andremo ora a toccare la chiave di volta dell'unicità della saga: l'annullamento della dicotomia Bene-Male. Chi è appassionato del genere sa bene che nel fantasy vige una sorta di legge non scritta dove si ha una distinzione netta tra buoni e cattivi; chi non è votato al Bene è servo del Male e viceversa, magari i personaggi possono cambiare orientamento durante lo svolgimento degli eventi ma rimane comunque ben visibile questa linea di demarcazione. Ebbene, nelle Cronache questo confine è del tutto inesistente, sono sì presenti personaggi che vengono identificati come positivi o negativi ma nel complesso non ci troviamo più di fronte allo schieramento "buoni vs cattivi" e questo non fa che giovare nel rendere il tutto molto più reale nonostante si tratti di un mondo di pura fantasia.
Una buona dose di realismo viene indotta dalle palesi scene di violenza o di sesso che, per quanto sia un veloce espediente per catturare l'attenzione del pubblico, è da sempre un elemento presente nella narrativa che vuole esprimere ogni sfaccettatura dell'essere umano. 



Una prerogativa tipica della saga è inoltre l'alto tasso di mortalità tra i personaggi, a prescindere dal grado di importanza che ricoprono nella narrazione. Togliere di scena elementi che fino a quel momento venivano considerati protagonisti, oltre a godere dell'impatto del colpo di scena, mischia le carte in tavola e suscita una certa curiosità nello scoprire come procederà la storia dopo la dipartita di un personaggio tanto importante. Tutto ciò a scapito della serenità del lettore che si dispera procedendo di libro in libro. Perché quindi insistere nella lettura se ci fa soffrire tanto? Si potrebbe chiamare "masochismo dello spettatore", infatti buona parte del pubblico gode di un certo gusto intrinseco nel soffrire per i propri personaggi preferiti, potremmo anche definirla una sorta di proiezione del dolore o un "esorcismo della morte". Tranquilli, non è niente di patologico, ne risento io come voi e come tutti gli altri, e il caro George Martin non fa altro che pescare a piene mani dagli elementi che sviluppano questa sorta di effetto collaterale da immedesimazione.



Per concludere posso dire che tanta attrattiva per una saga fantasy, anche per chi di fantasy ne sa poco, si può cogliere nella sua enorme valenza umana. 
A Song of Ice and Fire non fa altro che esprimersi alla maniera di molti fantasy di vari autori nord-europei (cito ad esempio Heitz o Sapkowskj) in un ufficioso sottogenere talvolta soprannominato "dark fantasy" per i contenuti spesso molto crudi e diretti. Tuttavia non definirei questo tipo di fantasy "a tinte dark" ma piuttosto realistico per quanto riguarda il risvolto psicologico dei personaggi e la credibilità degli avvenimenti narrati. 
L'ingrediente segreto è quindi la realtà.
Un mondo dove possiamo trovare draghi, metalupi, metamorfi, streghe e non-morti può essere vero grazie al carisma di ottimi personaggi e un intreccio magistralmente costruito, tutto nato dalla mano esperta di uno scrittore che indubbiamente sa il fatto suo.

Io da brava "amante" ho con questa saga un rapporto di amore-odio, fatto sta che non posso fare a meno di parlarne, di approfondire, di costruire congetture, di aprire dibattiti con i miei amici; se questo vale anche per voi sono spiacente di informarvi che vi siete innamorati di questa "canzone crudele" e non possiamo fare altro che soffrire insieme in attesa del prossimo volume.