Ma cosa è riuscito a fare presa sul pubblico tanto da far diventare questa "canzone di ghiaccio e fuoco" un fenomeno a livello globale?
Strano ma vero, se si va a scavare all'osso la trama non è poi così complessa: vari nobili si contendono il potere ed ogni protagonista rimane più o meno direttamente coinvolto in questo gioco di potere, ma tutti sono ignari di una grande e misteriosa minaccia che rischia di spazzare via tutto e tutti rendendo vana questa spietata lotta per il potere. Più complessa è la modalità di svolgimento degli eventi, palesemente ispirata alla storia e alla mitologia europea. Tuttavia quello che colpisce fin dai primi capitoli è la completa e totale messa in primo piano dei personaggi, cosa intuibile nella gestione dei capitoli e del punto di vista (i così detti POV, point of view). Di fatti la prima cosa che nota il lettore è la particolare suddivisione dei capitoli che non presentano alcuna numerazione o titolo ma solamente l'indicazione del personaggio al quale appartiene il punto di vista corrente. Una scelta intelligente che fa spostare l'attenzione completamente sul personaggio, sui suoi pensieri, sulla sua psicologia e rende immediata l'immedesimazione del lettore, oltre a rendere la narrazione chiara e ordinata, dato che i punti di vista sono decisamente numerosi e vanno ad aumentare ad ogni nuovo libro.
Altra mossa azzeccata è la minuziosa cura dei dettagli, percepibile nelle articolate descrizioni e la quasi maniacale attenzione alla geografia del luogo specificando usanze della popolazione, cibo e vestiario caratterizzati per ogni regione di Westeros ed Essos. Altrettanta attenzione è dedicata alla storia dei sette regni che nel corso della narrazione viene ben dosata e esposta tramite i personaggi come un coerente dato di fatto, il tutto condito con ballate e canzoni relative ad epiche imprese passate. Questi sono tutti ingredienti in grado di instillare una sempre più solida credibilità alle vicende.
Parlando di credibilità, andremo ora a toccare la chiave di volta dell'unicità della saga: l'annullamento della dicotomia Bene-Male. Chi è appassionato del genere sa bene che nel fantasy vige una sorta di legge non scritta dove si ha una distinzione netta tra buoni e cattivi; chi non è votato al Bene è servo del Male e viceversa, magari i personaggi possono cambiare orientamento durante lo svolgimento degli eventi ma rimane comunque ben visibile questa linea di demarcazione. Ebbene, nelle Cronache questo confine è del tutto inesistente, sono sì presenti personaggi che vengono identificati come positivi o negativi ma nel complesso non ci troviamo più di fronte allo schieramento "buoni vs cattivi" e questo non fa che giovare nel rendere il tutto molto più reale nonostante si tratti di un mondo di pura fantasia.
Una buona dose di realismo viene indotta dalle palesi scene di violenza o di sesso che, per quanto sia un veloce espediente per catturare l'attenzione del pubblico, è da sempre un elemento presente nella narrativa che vuole esprimere ogni sfaccettatura dell'essere umano.
Una prerogativa tipica della saga è inoltre l'alto tasso di mortalità tra i personaggi, a prescindere dal grado di importanza che ricoprono nella narrazione. Togliere di scena elementi che fino a quel momento venivano considerati protagonisti, oltre a godere dell'impatto del colpo di scena, mischia le carte in tavola e suscita una certa curiosità nello scoprire come procederà la storia dopo la dipartita di un personaggio tanto importante. Tutto ciò a scapito della serenità del lettore che si dispera procedendo di libro in libro. Perché quindi insistere nella lettura se ci fa soffrire tanto? Si potrebbe chiamare "masochismo dello spettatore", infatti buona parte del pubblico gode di un certo gusto intrinseco nel soffrire per i propri personaggi preferiti, potremmo anche definirla una sorta di proiezione del dolore o un "esorcismo della morte". Tranquilli, non è niente di patologico, ne risento io come voi e come tutti gli altri, e il caro George Martin non fa altro che pescare a piene mani dagli elementi che sviluppano questa sorta di effetto collaterale da immedesimazione.
Per concludere posso dire che tanta attrattiva per una saga fantasy, anche per chi di fantasy ne sa poco, si può cogliere nella sua enorme valenza umana.
A Song of Ice and Fire non fa altro che esprimersi alla maniera di molti fantasy di vari autori nord-europei (cito ad esempio Heitz o Sapkowskj) in un ufficioso sottogenere talvolta soprannominato "dark fantasy" per i contenuti spesso molto crudi e diretti. Tuttavia non definirei questo tipo di fantasy "a tinte dark" ma piuttosto realistico per quanto riguarda il risvolto psicologico dei personaggi e la credibilità degli avvenimenti narrati.
L'ingrediente segreto è quindi la realtà.
Un mondo dove possiamo trovare draghi, metalupi, metamorfi, streghe e non-morti può essere vero grazie al carisma di ottimi personaggi e un intreccio magistralmente costruito, tutto nato dalla mano esperta di uno scrittore che indubbiamente sa il fatto suo.
Io da brava "amante" ho con questa saga un rapporto di amore-odio, fatto sta che non posso fare a meno di parlarne, di approfondire, di costruire congetture, di aprire dibattiti con i miei amici; se questo vale anche per voi sono spiacente di informarvi che vi siete innamorati di questa "canzone crudele" e non possiamo fare altro che soffrire insieme in attesa del prossimo volume.
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